Tutto ebbe inizio in un’afosa sera d’estate del 2013, a Milano in una birreria bavarese. Tra un bretzel e una birra Weiss, agli autori, da anni affannati nel tentativo di comprendere perché sempre più individui pretendessero d’essere competenti su qualsiasi argomento a prescindere dalle proprie conoscenze, si rivelò d’un tratto una parola dal potere liberatorio, quasi taumaturgico: Permeismo.
Accompagnati da un piacevole senso di ebbrezza non solo alcolica, compresero all’istante di aver finalmente dato un nome a quell’arrogante e diffuso atteggiamento, fino ad allora solo percepito ma mai decodificato.
Una nuova parola era nata: Permeismo. Derivato dalla locuzione per me, descrive quella forma di relativismo assoluto che, in nome della libertà d’espressione, pretende che ogni opinione sia valutata degna di rispetto e considerazione, prescindendo da logica, conoscenza o evidenza empirica.